L’inquieto sonno e i fastidi della vita a bordo di una galea diretta in Terrasanta

Il padre domenicano Felice Fabri († 1502) nell’ Evagatorium scrisse molte pagine sulla vita quotidiana a bordo della nave dei pellegrini diretta in Terrasanta e non tralasciò le scomodità e i poco sopportabili fastidi. Ma era tutto previsto. Allora, obbedendo a un desiderio comune e sentito (valga come esempio Cristoforo Colombo), chi iniziava il viaggio era disposto a sopportarne anche le fatiche. Nel caso specifico queste sono descritte nel capitoletto: “De inquieta dormitione peregrinorum in navi” – Sul sonno inquieto dei pellegrini nella nave:

“Quando la cena è finita, i pellegrini si siedono per confabulare vicino all’albero e non ci passano mai accanto se si vedono addormentati con i lumi accesi. Ma quando scendono per sistemarsi, avviene un grande tumulto nella stesa dei letti e si solleva la polvere e una grande lite generalmente tra i collaterali (quelli che stanno accanto), soprattutto all’inizio, prima che si abituino. Infatti uno incolpa il suo collaterale per aver occupato una parte della “cumba” (letteralmente concavità) del suo lettuccio, un altro lo nega, quello lo afferma e ciascuno chiede di aiutare i suoi e talvolta intere compagnie si offendono a vicenda.
In tali gare ho visto pellegrini insorgere l’uno contro l’altro con spade e pugnali sguainati e gridare in una terribile insurrezione.
Se in tale tumulto fosse sceso lo scrivano della galea, il cui interesse è di dividere equamente le “cumbas”, sarebbe stato fatto a pezzi dai pellegrini.
Dopo che la disputa è risolta o non esiste affatto, alcune persone si addormentano più lentamente e disturbano gli altri con i loro lumi e discorsi lunghi e protratti.
Vidi che alcuni pellegrini impazienti buttavano i loro orinatoi contro i lumi accesi per spegnerli e allora nascevano di nuovo grandi liti. Alcune persone, dopo aver spento tutti i lumi, iniziano a preparare gli affari mondani con i loro compagni, e talvolta si trascinano fino a notte fonda, e mentre qualcuno li rimprovera di tacere, gridano di più e cominciano nuove liti; e se non fossero stati presenti uomini virtuosi e maturi a frenare i disputanti, la notte non sarebbe mai trascorsa serenamente, specialmente quando c’erano i fiamminghi ubriachi.
Oltre a quelli già menzionati, ci sono molti altri ostacoli al riposo e al sonno.
I religiosi, abituati a dormire da soli nelle loro celle, difficilmente possono riposare a bordo della nave a causa dei collaterali irrequieti e russanti. Tante notti non ho mai chiuso occhio. Inoltre, la tenuta della concavità del letto e la durezza dei cuscini provocano irrequietezza. Un pellegrino difficilmente può muoversi senza un contatto con il collaterale; anche il posto è chiuso, molto caldo e pieno di vapori grossolani e di cose diverse.
Quindi si suda continuamente, il che è molto angosciante; poi “pro tempore” ci sono infinite pulci, innumerevoli pidocchi, topi e ghiri (“glires”). A volte, e quasi ogni notte, mi alzavo silenziosamente, salivo all’aria, e mi vedevo liberato dalla squallida prigione.
Anche il sonno agitato, il russare e il parlare di alcuni nei sogni, i gemiti, la tosse e le esalazioni dei malati impediscono il sonno. Sono stato per un po’ di tempo in una galea, dove cavalli e muli stavano sopra di noi e facevano un rumore continuo con le zampe sulle assi, per tutta la notte e il giorno.
Il correre dei galeotti di sopra, il rumore del mare, e molte altre cose turbano il sonno del pellegrino; e questo è tutto.

Un capitolo più lungo padre Fabri lo dedica ai bisogni fisiologici sui quali non sorvola o trova imbarazzante e/o ridicolo parlare. È il: “Difficultas in opere naturae eundo ad secessum in galea, et remedia, et de quibusdam aliis gravaminibus” – Difficoltà e rimedi nell’opera della natura nel ritirarsi nella galea, e altri fastidi.
In sunto il padre domenicano ricorda come ogni pellegrino avesse vicino a sé e al letto un orinatoio, un vaso di terracotta o un altro vaso, nei quali urinava o vomitava al bisogno. Ma poiché il luogo per una tale folla era angusto e oscuro e c’era molto da camminare, a volte, qualcuno costretto ad affrettarsi, nel passaggio rovesciava 5 o 6 vasi, da cui nasceva un fetore insopportabile.
Comunque al mattino, quando i pellegrini si alzavano dal letto e “le loro pance chiedevano sollievo”, salivano e andavano a prua, dove da entrambi i lati si trovavano i posti adatti alla necessità. Stavano quindi lì davanti contemporaneamente anche 13 persone ad aspettare il turno, e non c’era timidezza, ma piuttosto rabbia, quando si occupava il luogo troppo a lungo.
Di notte c’era ugualmente difficoltà ad andare alla ‘ritirata’ a causa di chi dormiva su tutta la galea. Si dovevano passare oltre 40 persone, in silenzio, mettendo con cura il piede di banco in banco. Se infatti si fosse urtato qualcuno con il piede, si riceveva ogni sorta di imprecazione. Ma un uomo, se non avesse avuto paura e vertigini, avrebbe potuto scavalcare i bordi della nave fino a prua tirando corda contro corda – e il coraggioso padre Fabri l’aveva fatto spesso anche se ciò era incauto e pericoloso. Oppure si poteva star fuori della colombaia (alloggio) dei remi sedendosi sui remi, ma anche questo era pericoloso e non gradito ai galeotti.
Il padre domenicano ricorda poi i vomitevoli fetori di ogni sorta, compresi quelli delle bestie, della cucina, della sentina, i fastidi delle pulci, dei pidocchi, dei topi, dei ghiri, delle zanzare, dei vermi. Scrive: “Nel corso del tempo, ratti e topi vengono ‘allevati’ in gran numero sulla nave e corrono dappertutto di notte, rosicchiano le riserve di cibo, perforano e rovinano il cibo, rovinano i cuscini e le scarpe e cadono sulla faccia di chi dorme; e questo più o meno secondo la stagione: perché non sempre si muovono, ma ai loro tempi” , cioè secondo i venti e l’umidità, spiega.
Infine parla la pulizia della biancheria e del letto, “affinché uno possa essere più tranquillo e perché chi è negligente in queste cose sarà inquieto e odioso a tutti.
I viaggiatori soffrono molte difficoltà e disagi; ma fra tutti gli inconvenienti, tolta l’infermità della propria persona, quello più fastidioso e peggiore è quando un buon pellegrino ha un pessimo collaterale, invidioso, impaziente, litigioso, irrequieto, irascibile e sporco: io ho sperimentato la pena di questo male.
Al contrario, un tesoro inestimabile è un compagno collaterale ragionevole, fedele, paziente, tranquillo e pulito; e anche questo l’ho imparato per esperienza”.

Paola Ircani Menichini, I giugno 2023.
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